Il viaggio nella Grotta Paglicci
a cura della Prof.ssa Annamaria Ronchitelli
Era l’ormai lontano 22 settembre 1971 quando, alla fine della stagione annuale di scavi, Arturo Palma di Cesnola, Franco Mezzena e Paolo Gambassini scoprirono nella Grotta Paglicci, a tetto dello strato 22, gravettiano (risalente a circa 30mila anni fa), un cranio umano pertinente alla sepoltura di una adolescente (PAII). Nel novembre dello stesso anno la sepoltura fu interamente portata alla luce e recuperata.
Durante questi lavori vennero sfiorati l’anca e l’omero di un’altra sepoltura, posizionata ortogonalmente alla prima, grosso modo allo stesso livello. Ma ancora sotto circa 6m di deposito archeologico.
Quasi vent’anni sono stati necessari per raggiungere questo secondo inumato, scavando a partire dagli strati soprastanti, giù giù attraverso il deposito epigravettiano e gravettiano. Lo scheletro sfiorato nel 1971, una giovane donna vissuta sempre in epoca gravettiana ma alquanto dopo la giovinetta, fu finalmente raggiunto nel 1988-89.
Entrambe le sepolture avevano corredi funerari, molti ornamenti, erano cosparse di ocra e costituiscono uno dei ritrovamenti che hanno fatto di Paglicci un sito paleolitico di importanza internazionale.
Grotta Paglicci
“Formidabile la sequenza di grotta Paglicci- come ebbe a dire il Palma di Cesnola in una intervista -non ci sono parole per definirla. Una sequenza di dodici metri che conteneva tutto, dal Paleolitico inferiore alla fine del Paleolitico superiore …sono stato 30 anni a scavare questa grotta favolosa” .
Arturo Palma di Cesnola ha infatti condotto le sue ricerche, in collaborazione con Franco Mezzena, negli anni 1971-2001 e nel 2002 è subentrata, in qualità di responsabile scientifica, Annamaria Ronchitelli, entrambi dell’Università di Siena, sempre sotto l’egida della locale Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.
Storia delle ricerche e principali ritrovamenti
La grotta Paglicci scoperta da Raffaello Battaglia nel 1955, era stata inizialmente indagata da Francesco Zorzi per conto del Museo Civico di Storia Naturale di Verona negli anni 1961-63, in collaborazione con il Palma di Cesnola e Franco Mezzena allora studenti.
Primi anni di ricerche interrotti precocemente dalla morte dello Zorzi, ma premiati da scoperte importanti. Fra cui:
– una sepoltura parziale (arti inferiori e frammenti del bacino), un deposito probabilmente intenzionale di “reliquie, risalenti entrambi all’Epigravettiano finale, circa 17mila anni fa,
– alcune incisioni artistiche su osso o pietra con soggetti animali, in genere uri (buoi selvatici), cavalli e cervi, e uccelli dell’Epigravettiano evoluto, circa 18mila anni fa.
E, straordinarie in Italia per la loro unicità che perdura tutt’oggi, le pitture parietali paleolitiche rinvenute nella sala più interna della grotta, mani e cavalli forse opera dei gravettiani.
La struttura della grotta
Grotta Paglicci è infatti parte di un sistema carsico che comprende: l’area esterna, un tempo chiamata “il Riparo”, in realtà un’antica sala frequentata durante il Paleolitico medio la cui volta è successivamente crollata; la grotta dei Pilastri; l’attuale sala d’ingresso della grotta, dove insiste l’area di scavo principale, altre due sale intermedie e infine, sul fondo, la sala e l’abside con le pitture.
Tornando alle ricerche
non meno eccezionali sono stati i rinvenimenti emersi dagli scavi Palma di Cesnola. Fra cui altri oggetti d’arte mobiliare incisi, uno dei quali di età gravettiana, risalente a circa 28mila anni fa.
E inoltre:
– la parte posteriore di un cavallo dipinta su un frammento di lastra calcarea crollato probabilmente dalla volta dell’attuale prima sala, dove poteva formare un fregio (Epigravettiano antico, ca 19mila anni fa),
– i massi incisi all’ingresso (Epigravettiano evoluto, ca 18mila anni fa),
– le due sepolture sopra citate (foto Sepoltura PAII e Sepoltura PAIII).
E poi focolari, piani d’ossa,
oggetti d’ornamento (come denti e conchiglie intenzionalmente forate, industria litica e resti di pasto abbondantissimi.
Tutto questo in 30 anni
quattro settimane in autunno, anno dopo anno, giù giù per 12 m, prelevando pochi cm di terreno alla volta, seguendo il succedersi dei livelli stratigrafici, su una superficie ridotta, secchio dopo secchio,
ognuno da setacciare con maglie di 1,5 cm a secco e in acqua; consolidare, fare i rilievi e la documentazione fotografica;
e poi scegliere il materiale lavato con le pinzette , dividere selci, ossa e denti di mammiferi, ossa e denti di micromammiferi, carboni, ornamenti, tutti etichettati, imbustati e avviati ai vari laboratori.
Decine e decine di studenti e appassionati si sono succeduti in questo lungo lasso di tempo, in un lavoro entusiasmante ma talora anche monotono e faticoso. A tutti loro va la nostra più viva riconoscenza, ben sapendo quanto la terra sia bassa e pesante, per aver reso possibile le ricerche in questo sito strepitoso.
ENTRIAMO…
Cosa è Grotta Paglicci?
è uno dei più importanti siti di epoca paleolitica in Europa. Questo sito archeologico fu individuato dal Dott. Michele Bramante (proprietario del fondo agricolo in cui si trova) che fu il primo a segnalarlo.
A seguito dell’interessamento di varie università ed enti museali vennero eseguite, con il sostegno e la solidarietà della proprietà, alcune campagne di scavo negli anni Sessanta (direzione F. Zorzi, Museo Civico di Storia Naturale di Verona) e in seguito iniziarono le lunghe ricerche ad opera dell’Università di Siena. In particolare, gli scavi furono diretti per molti anni dal Prof. Arturo Palma di Cesnola (1971-2001) e, più recentemente, dalla Prof.ssa Annamaria Ronchitelli (2002-2006).
All’interno della grotta sono stati rinvenuti migliaia di reperti. Tra essi industrie litiche, resti faunistici, resti umani e oggetti d’arte mobiliare (ossa e pietre decorate con incisioni). Inoltre è presente l’unico esempio di pitture parietali paleolitiche finora noto in Italia.
Sono state anche rinvenute due sepolture paleolitiche, sotto la direzione del Prof. Palma di Cesnola, risalenti a circa 30.000 anni fa (una ragazza di circa 12-13 anni ed una donna di circa 25 anni di età, entrambe con un ricco corredo) che sono tra le più antiche di Europa.
L’importanza della grotta Paglicci
è sottolineata, al di là dei reperti artistici ritrovati, anche dai recenti studi ad opera del team della Prof.ssa Annamaria Ronchitelli e del Prof. Francesco Boschin che hanno permesso di individuare e catalogare, tra i resti ritrovati, anche quelli del più antico cane domestico vissuto in Italia (risalente ad un periodo tra 14.000 e 20.000 anni fa) oltre ad un pestello di circa 32mila anni fa con granuli di amido che gettano luce sulla componente vegetale della dieta del tempo.
Alcuni dei resti umani, studiati da un punto di vista genetico, hanno fornito importanti contributi alla conoscenza delle modalità di diffusione delle antiche popolazioni di sapiens europei.
Cenni storici
La grotta Paglicci ha avuto una vita travagliata, sia per gli eventi geo-ambientali, sia per l’intervento umano sconsiderato. Difatti la composizione carsica e la posizione geografica, in piena esposizione su un vallone, e gli eventi sismici di cui è ricca la zona, hanno esposto la grotta all’erosione, e a fenomeni franosi.
A quanto suddetto si va ad aggiungere il fattore umano legato a miti e tradizioni locali. Infatti, si riteneva che in questa grotta un brigante del posto, tal Gabriele Galardi soprannominato “Jalarde”, avesse nascosto il suo tesoro. Per questo motivo alcuni cercatori di tesori hanno effettuato nel sito scavi disastrosi. Hanno eseguito addirittura demolizioni con l’esplosivo distruggendo parte del deposito e favorendo i fenomeni franosi.
La grotta Paglicci si è riuscita a salvare solo grazie alla caparbia ed ostinata difesa da parte dei proprietari ed all’interessamento del Prof. Raffaello Battaglia dell’Università di Padova, del paletnologo Francesco Zorzi (direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Verona) con il suo collaboratore Franco Mezzena, a cui si devono le prime scoperte ed individuazione delle pitture parietali, del geologo Angelo Pasa, del Prof. Fiorenzo Mancini dell’Università di Firenze.
Ha raggiunto la notorietà attuale grazie alle ricerche sistematiche del Prof. Arturo Palma di Cesnola dell’Università di Siena e, più di recente, della Prof.sa Annamaria Ronchitelli dello stesso Ateneo.