Entriamo nella grotta
All’imboccatura dell’attuale ingresso, sulla parete in alto a sinistra, sono presenti incisioni in forma di tacche profonde e linee diritte o curve, forse figure stilizzate dal valore simbolico. Risalgono a circa 18mila anni fa.
Due passi e siamo nel primo ambiente, l’“atrio”:
è il luogo dove si sono concentrati gli scavi sistematici che, iniziati nel 1961, hanno messo in luce (finora) una stratigrafia di 12 metri (livelli 1-30).
È grazie a questa sequenza stratigrafica che Paglicci è riconosciuto come uno dei siti paleolitici più importanti a livello europeo: sopra ai livelli del Paleolitico medio, la serie copre l’intero arco temporale del Paleolitico superiore, permettendo di ricostruirne l’evoluzione climatica e culturale, 30mila anni di Preistoria praticamente senza soluzione di continuità.
PALEOLITICO MEDIO
Strati 30-29:
sono i più antichi, indagati molto marginalmente, e corrispondono ai livelli 4-3 del sondaggio nell’area esterna, un’antica sala oggi a cielo aperto: siamo intorno ai 250-200mila anni fa, all’interno della fase antica del Paleolitico medio, l’epoca dell’Uomo di Neanderthal. La fauna di questi ultimi livelli indizia un clima continentale arido e un paesaggio di steppa, passante in alto a prateria.
L’industria litica si inserisce nel tecnocomplesso Acheuleano, e si caratterizza per la produzione di strumenti piccoli accanto ad alcuni bifacciali.
Il bifacciale è, potremmo dire, lo strumento paleolitico più popolare nell’immaginario collettivo: è piuttosto grande, ritoccato su entrambe le facce a ottenere una forma in genere a mandorla (“amigdala” dal greco) con trancianti laterali, una punta e una parte adatta alla presa opposta alla punta. In Puglia il rinvenimento di bifacciali è frequente, soprattutto nel Gargano, in raccolte di superficie.
Strati 28-26:
corrispondono al livello 2 dell’esterno. Siamo sempre nella fase antica del Paleolitico medio, a circa 150mila anni fa. Il chimismo del terreno ha distrutto gran parte della fauna e persino le pietre. Dai pochi resti identificabili possiamo ipotizzare un periodo temperato umido. La produzione litica è cambiata e rivolta ad ottenere schegge piuttosto grandi e spesse, con ritocco ripetuto più volte sullo stesso pezzo, forse per riaffilare il filo tagliente via via che si usurava (il cosiddetto ritocco Quina dall’omonimo sito francese).
Strato 25:
sterile, probabilmente collegabile al livello 1 del sondaggio esterno, quando crolla il soffitto della sala, la frequentazione umana diventa sporadica ed è piuttosto la iena a stabilire la sua tana fra i massi.
PALEOLITICO SUPERIORE
Strato 24:
dopo un abbandono di circa 100mila anni l’uomo ritorna nella grotta 40mila anni fa: ora sono gruppi di Homo sapiens che continueranno a stabilire i loro accampamenti temporanei fino a 13mila anni fa.
Il tecno-complesso più antico è l’Aurignaziano: il clima è temperato asciutto, l’industria litica è caratterizzata dalla produzione di lamelle, che possono essere ritoccate marginalmente e che sono diritte nei livelli bassi, “sghembe” in quelli superiori. È presente un punteruolo in osso.
Strati 23-18B:
costituiscono la serie del Gravettiano, complesso che si sviluppa fra 30-25mila anni fa evolvendosi in tre fasi (antico, evoluto e finale). Il clima è complessivamente più freddo dell’attuale, talora freddo intenso sottolineato dalla presenza della marmotta (fase evoluta, strati 21-20) e dal prevalere, fra gli ungulati, di stambecco e cavallo.
Strati 20-21:
la produzione litica è caratterizzata dalle punte a dorso profondo, che venivano immanicate in serie su aste a formare una freccia composita utilizzata nell’attività venatoria: probabile quindi l’uso dell’arco o del propulsore.
Erano invece impiegati in attività domestiche altri manufatti, sia litici che ossei, questi ultimi costituiti da punte/punteruoli ricavati soprattutto da ossa di cavallo.
Strati 23
Da questi livelli provengono reperti davvero eccezionali (in ordine cronologico):
nella fase antica, un macinello in arenaria che ha conservato alcuni amidi, fra cui avena selvatica, rara testimonianza di raccolta e uso alimentare di vegetali, trasformati in farina;
Strati dal 22 al 21:
al passaggio fase antica/evoluta, due sepolture, di una adolescente (12-13 anni) la più antica (PAII, tetto strato 22), di una giovane donna (18-20 anni) la più recente (PAIII, base strato 21A). Entrambe sono cosparse di ocra con corredo di manufatti e ornamenti;
Strati 20:
nella fase evoluta, la più antica opera d’arte mobiliare del sito, un femore di uro su cui è inciso il profilo di uno stambecco cui si sovrappongono una serie di tratti e motivi geometrici (strato 20C).
Strati 18A-3:
sono gli strati dell’Epigravettiano, anch’esso suddiviso in 3 fasi (antica-evoluta-finale) databili fra 25-13mila anni fa. Il clima, ancora freddo nelle prime due fasi, volge al temperato nella fase finale, con comparsa, fra gli ungulati, di specie forestali come il cervo e il cinghiale.
L’industria litica vede, nella fase antica, la presenza di punte a dorso profondo con peduncolo (cran) finalizzato a facilitare l’immanicamento.
Nelle fasi successive questo elemento va sparendo, e i dorsi tendono via via a microlitizzarsi con comparsa di forme geometriche (semilune, triangoli). Nell’industria su osso si rarefanno i sottili punteruoli del Gravettiano (figura seguente a sinistra), compaiono punte di lancia (figura seguente a destra) e, solo nella fase antica, manufatti in palco di cervo.
Anche questi livelli si contraddistinguono per l’eccezionalità dei reperti:
nella fase antica (e nelle successive) sono stati rinvenuti resti di cane, fra i più antichi in Europa, che dimostrano una precoce domesticazione del lupo: il cane, questo prezioso amico, ci è dunque fedele compagno da 20mila anni!
Strato 14:
Appartiene a questa fase una lastra calcarea con, dipinto, il treno posteriore di un cavallo in corsa; è presumibilmente crollata dal soffitto dove l’intera figura poteva far parte di un fregio purtroppo perduto. È sorprendente come stile e cronologia (circa 19mila anni) coincidano con quelle di alcune pitture della celebre grotta di Lascaux in Francia.
Dagli strati 9-8 (risalenti a circa 18mila anni fa):
della fase evoluta provengono alcune opere d’arte mobiliare, soggetti animali, ma anche motivi geometrici, incisi su osso, ciottolo o pietra. Teste di uro, ma anche uccelli e “quadretti” naturalistici (nido insidiato da un serpente).
Notevole la scena di caccia raffigurante un cavallo, affiancato prospetticamente da due cervi, che fugge inseguito da un nugolo di frecce impennate; la vivacità e dinamicità di questa scena contrasta con la raffigurazione, su altro supporto, di un cavallo colpito dai dardi e morente.
Strato 5:
Opere d’arte, anche se più rare, sono state rinvenute nella fase finale. Di sicura importanza il ritrovamento di una sepoltura parziale (parte inferiore del corpo), purtroppo avvenuta durante i primi anni di scavo e priva di documentazione (strato 5base, risalente a circa 15mila anni fa). Sempre dallo stesso strato proviene una lastra di calcare su cui poggiavano due omeri appartenenti a due individui di età diversa: una specie di altarino che suggerisce una sorta di raccolta di “reliquie”.
Qui questa serie strepitosa si chiude causa il crollo di parte del soffitto che ha impedito ai gruppi umani di entrare nella grotta fino a tempi subrecenti.
Dall’atrio, continuando la visita, si può scendere, strisciando per un passaggio ribassato, alla sala 1 e, per un cunicolo scavato artificialmente nel deposito dai clandestini, nella sala 2, entrambe con tracce sporadiche di frequentazione paleolitica e in comunicazione fra loro attraverso una strettoia.
Dalla sala 1 si accede alla sala 3, la sala delle pitture, grazie ad uno stretto corridoio ad angolo scavato artificialmente: originariamente il riempimento arrivava a circa 30 cm dal soffitto, ostacolando di fatto l’ingresso alla sala delle pitture.
Le pitture attualmente ben visibili, situate in fondo alla grotta in un ambiente, come già detto, non facilmente raggiungibile, comprendono due cavalli, uno dei quali in posizione verticale, e una serie di mani.
La loro grande importanza risiede nell’essere l’UNICO esempio finora accertato di pitture parietali paleolitiche in Italia e nella loro antichità: risalgono infatti probabilmente ad epoca gravettiana.
Qui, con l’eccezionale incontro con il mondo simbolico di queste popolazioni ancestrali, si chiude la nostra visita alla Grotta Paglicci. Non ci rimane che tornare indietro a rivedere la luce del giorno…